PROLOGO: C’era una volta
(ma neanche tanto), in un mondo lontano lontano…
L’ologramma mostrava una scena
di battaglia fra sette abitanti del pianeta Terra ed un’orda di uomini e donne le
cui teste erano coronate da grottesche creature simili a ragni, solidamente
agganciati con le zampe che affondavano nelle tempie o nella colonna
vertebrale.
Uno di loro era un uomo di
proporzioni medie, il corpo muscoloso ma non certo robusto. Atletico,
piuttosto, con indosso un costume blu e bianco, con una ‘I’ bianca al centro del petto, e stivali e guanti
rossi. La maschera lasciava scoperta la sommità del cranio, mostrando così una
zazzera ondulata di capelli rosso chiaro, quasi arancione…
“Mister Immortal,” disse lo spettatore, con una voce che riusciva
allo stesso tempo ad essere dolcissima e minacciosa, mentre osservava lo
spettacolo.
Il secondo eroe assomigliava
più ad una specie di silhouette umana
che ad un mortale, con quel suo corpo completamente nero, fatta eccezione per
un paio di occhioni bianchi a diamante. Nel suo corpo, stava sparendo uno degli
aggressori, come se l’uomo fosse stato un portale vivente…
“Doorman.”
Il terzo, con un costume viola
e nero ed una gran ‘F’ nera sul petto, sembrava bidimensionale tanto che era
sottile. In compenso, si stendeva come un elastico umano e intrappolava
facilmente fra le sue spire dozzine di aggressori per volta…
“Flatman.”
Il quarto era una femmina in
costume bianco, di una specie indefinibile, forse un rettile, dalla pelle rosa,
e un ampio paio di membrane alari che si stendevano lungo le braccia. Era impegnata
a volare sulle teste dei nemici, stendendone quanti poteva con le onde soniche
emesse dalla sua bocca…
“Dinah Soar.”
Il quinto era un lupo mannaro
grosso come un armadio e forte come un toro. Non usava armi o poteri, gli
bastavano i muscoli, le zanne e gli artigli. Indossava solo una collana di
zanne…
“Moonfang.”
Il sesto sembrava uscito fuori
dalle favole: era un uomo in una splendente armatura d’oro dalle fogge moderne,
in groppa ad un cavallo alato bianco e riccamente bardato. Dalle mani del
cavaliere partivano lance fatte di folgore…
“Thundersword.”
E infine il settimo…e qui,
alla vista della donna decisamente iperobesa, che il costume giallo e nero teso
allo spasimo non aiutava certo a dare anche solo una parvenza di dignità, con
un ciuffetto pel di carota ridicolo sulla testa spropositata…insomma, alla
vista di una balena in body che saltellava come una molla di nemico in nemico
per seppellirlo sotto i suoi glutei, lo spettatore emise un sospiro che poteva
essere, per tonalità, paragonato solo al verso di un primate degradato in amore.
“Big Bertha,” disse l’alieno[i],
levando un calice pieno. “Eroica bellezza, carnosa perla rara di coraggio e
potenza, per una specie così barbara e codarda.”
“I
suoi gusti sono sempre eccellenti, Sire,”
disse un esile robot che si muoveva su tre zampe da insetto fissate ad un
bastone che sostituiva le sue gambe. Nelle mani, reggeva un vassoio placcato
d’oro. “Vostra
Maestà prevede di assentarsi a lungo per procacciarsi una siffatta grazia?”
La figura in ombra annuì.
“Preparami i bagagli, Jeeves: voglio tutto quello che serve, incluso un buon
manuale per corteggiare le femmine terrestri. Finalmente il nostro mondo avrà
una degna regina! Oh, e portami un panino.”
MARVELIT presenta
VENDICATORI DEI GRANDI LAGHI
Episodio 16 - Questione di Gusti…
Sotterraei dei Magazzini
Loreson, Chicago
La porta scorrevole si aprì, e
Mr. Immortal uscì per primo…cioè rovinò a terra, a faccia in avanti, con le
braccia distese lungo i fianchi. Sembrava appena uscito da 24 ore di guerra
dura. Un attimo dopo, su di lui si rovesciò, a pelle di leone, Moonfang, che
all’impatto srotolò un metro di lingua. Seguirono gli altri, in rapida
sequenza, con Thundersword a chiudere l’elenco delle vittime.
Un paio di gambe in blu e
stivali bianchi si avvicinarono alla pila di carne esausta. “Esagerati,”
gongolò Alexander Goodwin Pierce,
Direttore di quella sede distaccata dello SHIELD. “È solo un livello 4 del
programma di allenamento. Roba da principianti!”
Senza sollevare la testa, Mr.
Immortal sollevò un braccio a chiedere la parola. “Dopo ventiquattro ore di
fila, senza neanche il tempo di andare in bagno, capo, diventerebbe duro anche
il livello 1.”
Pierce fece spallucce. “Sarà,
ma almeno così vi tengo lontani dalla tentazione di andare a fare i cacciatori
di guai. Gli altri Vendicatori si saranno pure messi in testa l’hobby di
guidare il mondo, ma almeno sono gente in gamba. Voi fareste scoppiare la terza
e la quarta guerra mondiale in una sola volta. E ora andate a darvi una
rinfrescata, che puzzate; soprattutto tu, Moonfang. Hop, hop!” si voltò e si
allontanò con passo marziale.
La pila si scompose, e chi più
chi meno massaggiandosi le parti doloranti, si misero in piedi. “Lo odio,”
disse il licantropo. “È peggio di mio padre…ma almeno, lui aveva la scusa di
essere il figlio del primo Re dei turchi.”
“Prego?” chiese Ashley
Crawford.
“Un vero duro, dolcezza: una
volta si cavò tre denti per farne punte di lance da dare ai Votati che lo
accompagnavano…”
“Figlio di un Re?” insistette
lei.
Il gruppo si diresse verso i
bagni. “Certo: il primo Re dei turchi nacque dall’accoppiamento fra un uomo e
una lupa. Poi ebbe una parte della sua prole da una donna, ed una parte da una
lupa, in omaggio alla sua origine…anche se quest’ultima parte è poco narrata, a
dire il vero.”
“Immagino che di reclamare il
trono non se ne parla più,” disse Thundersword, che zoppicacchiava con un
clangore metallico.
“Difficile in un regime
democratico,” fece Flatman, più strisciando sul suo corpo ultrasottile, che
camminando. “Ma dove vivi?”
“In America, no? Piuttosto,” e
l’eroe dorato puntò il pollice verso Dinah. “Piuttosto, di che specie è lei? Insomma, è da un po’ che
lavoriamo insieme, e…”
“Dopo la doccia,” disse
Immortal. “Comunque, te lo spiegherà lei.”
Il gruppo entrò nel locale
unisex. La porta si chiuse e si sentì subito un frusciare di costumi che venivano
tolti…e, poi, la terrificata voce di Mr. Immortal. “Dannazione a te, Stu, no!
Non qui! Non*” Troppo tardi! Un fragore
tremendo venne dalla porta, che per un momento si gonfiò come un lenzuolo al
vento, prima di tornare alla sua forma originale. Un rivolo di fumo nero venne
fuori dalla soglia.
“Dici
che non se la prende troppo, quando risorge?” fece Stuart Cadwell nel silenzio
che seguì.
Le porte a vetri si aprirono,
e nella hall del più lussuoso albergo di Chicago fece il suo ingresso un
visitatore molto speciale: un uomo di tale bellezza da sembrare uscito dai più
ferventi sogni femminili. Due metri di armoniosità, non gonfiato come un
culturista, ma certamente non un efebo. Capelli lunghi e di un biondo scuro,
volto mascolino e nobile, degno di un re… Cosa che, in effetti, lui era. Al suo
passaggio, si udirono uno dopo l’altro diversi scricchiolii di colli troppo
voltati.
L’uomo si avvicinò al bancone.
All’impiegato che lo fissava ad occhi sbarrati, con una voce intonata alla sua
bellezza, disse, “Voglio la vostra migliore camera, e voglio un po’ di abiti di
sera, e tutto quello che mi servirà per corteggiare la più bella donzella di
questo miserabile mondo. Un paio di quintali di cibo assortito, il vostro
migliore, dovrebbero bastare per iniziare. Oh, e dieci litri di una bevanda
adeguata per innaffiare il tutto, naturalmente.”
“Signorsì, signore. Tutto
quello che vuole, signore,” disse l’inebetito receptionist. Prese una tessera
magnetica dall’espositore, la caricò per un anno e la porse a quel cliente di
abbagliante bellezza. “Il signore desidera qualcosa per sé?”
Mentre
prendeva la chiave, L’altro ci pensò su un istante. “Sì, una…come la chiamate
da queste parti? Ah, sì, una dozzina di pizze farcite con tutte, giusto per
stuzzicare l’appetito. Oh, e per la mia ospite adorata dovrete fare allargare
un po’ l’ingresso. E già che ci siete…” da una tasca del suo elaboratissimo
costume bianco e azzurro, ricco di merletti e maniche a sbuffo, estrasse un
cartoncino che posò delicatamente sul bancone. “Contattate questa persona al
numero di telefono indicato. Subito,” aggiunse con un sinistro sorriso
traverso.
“È stata una vita del cavolo,
fin da quando ero una mocciosa. Se nasce un maschio, la prima cosa che
immaginano di lui è che saprà conquistarsi a cazzotti il suo bravo posto nella
vita. Se nasce una femmina, la prima cosa che immaginano di lei è che sì, è un
amore di bambina, perciò in fila dietro alle altre e buona fortuna!
“Io sono sempre stata così, la
più bella del nido, dell’asilo, della scuola, del liceo… Entro l’età di sedici
anni ero già apparsa in trentacinque spot, dai pannolini allo shampoo. Per i
miei genitori ero il migliore investimento concepibile.
“Non mi è mai mancato niente,
letteralmente. Medico personale, trainer personale, insegnante personale, dama
di compagnia personale, ogni gioco o giocattolo che volessi era mio semplicemente
facendone il nome…a patto che le mie scelte rientrassero nelle marche degli
sponsor. Niente animali, però, o qualunque altra cosa che potesse essere
pericolosa per la mia salute. E se lo stress mi faceva venire un accenno di
eruzione sulla pelle, facevano venire un team medico dalla Svizzera.
“Insomma, non ero nata col
cucchiaio d’oro in bocca, ma con tutto il servizio.
“Intravidi la salvezza a
diciotto anni, quando divenni legalmente capace di prendere ed andarmene di
casa, oltre che di gestire le mie fortune. Naturalmente, se avessi sfidato la
mia famiglia in tale senso, sarei stata chiusa in casa fino alle prime rughe.
“Scelsi invece di continuare
il solo lavoro che sapessi fare meglio e allo stesso tempo squagliarmela senza
più tornare da quei feticisti della banconota: mi presi un agente e iniziai a
fare la modella sulle passerelle internazionali. Lasciai che un esercito di
notai ed avvocati da me scelti gestisse i miei soldi, lasciando un contentino
ai miei vampiri. Ogni tanto, mi diverto a mandare loro una lettera nella quale
ipotizzo di togliere loro anche quella rendita. Persino una loro lettera
stampata ha i caratteri che tremano, dopo un simile scherzo…”
“E la ciccia?” la interruppe
Hollis deMeere, con la cannuccia di una Coca king size infilata fra le labbra
come la sigaretta di un vecchio fumatore. “Insomma, non succede alla pubertà questa
faccenda dei poteri?”
Ashley rigirò distrattamente
la sua insalata nel piatto, mentre rivolgeva uno sguardo esasperato al ragazzo.
“Hollis, il fatto che il mio potere mi renda simile alla sorella di Blob non fa di me una mutante. Non so
perché insisti a credere il contrario.
“Ad ogni modo, i miei poteri
li devo ad un esperimento malriuscito.” Ingerì un paio di bocconi. Dopo avere
masticato, continuò, “Immagino che non abbiate mai sentito parlare di un tale Karl Lansky…” vedendo il generale
scuotere di teste, sospirò. “Lo immaginavo. Del resto, neppure io ne avevo
sentito parlare, fino a quando il mio ultimo agente non ci ha presentati.
“Lansky lavorava per una
compagnia farmaceutica, impegnata nella ricerca di un prodotto che permettesse
di mantenere il peso forma senza dovere rinunciare al cibo. Potete immaginare
cosa significasse per una modella, costretta a tirare avanti con ciuffi d’erba,
qualche bicchiere d’acqua e molta aria (non fritta). E così, mi sottoposi
volontariamente alla sperimentazione…”
Toccò ad Harold Ventura di
interromperla. “Avevano già superato la fase di sperimentazione sugli animali?
Senza offesa per i presenti, s’intende,” aggiunse all’occhiata obliqua che gli
rivolse Moonfang.
Ashley annuì. “Scoprii solo a
danno fatto degli…effetti collaterali: la creazione di biomassa assorbendo da
quella circostante. Non è grasso quello che mi porto addosso quando combatto,
ma pura massa. Mi rende forte, capace di fare quei salti pazzeschi, e
praticamente invulnerabile…ma mi rende anche ridicola…”
“Bellezza, ti ho visto
diventare più volte un gran pezzo di gigantessa,” disse Stuart. “Perché non
scegli quella forma, piuttosto?”
“Quella la riservo ai casi di
emergenza: una cosa è concentrarsi per diventare Big Bertha la cicciona. È
facile, devo solo aggiungere peso. Un’altra è ridistribuire e raffinare quella
stessa massa per crescere di dimensioni. Devo sforzarmi, e mi fa venire un mal
di testa che mi rende molto irritabile.”
“Lampante,” fece Harold,
accendendosi una pipa di radica. “Però, non avevo realizzato che conoscessimo
così poco delle nostre vite private
prima di incontrarci.”
“Questo perché siamo
Vendicatori, amico,” disse Craig con fare solenne. “Ricordi? Tenere separate le
maschere dalle vite private.”
Hollis finì la sua Coca, prese
il bicchiere e lo lanciò verso un cestino. Canestro perfetto. “Già, ma abbiamo
violato subito l’obbligo di tenere segrete le identità l’un l’altro.”
A Craig si sciolse la solennità.
Dinah gli diede un paio di pacche consolatorie sulle spalle.
In quel momento, nella sala
mensa entrò a passo di carica un furibondo Pierce. Aveva gli occhi da puma e
una nuvoletta tempestosa sulla sua testa scaricava fulmini a raffica. E il suo
sguardo era posato solo e solamente su Ashley.
Gli altri VGL scomparvero in
un batter d’occhio! Quando il loro supervisore arrivò al tavolo, lei era
rimasta da sola, ipnotizzata dallo sguardo assassino di lui. Prima che potesse
solo aprire bocca, lui chiese, con un tono improvvisamente flautato -ma senza
che la nuvoletta scomparisse dalla sua testa, “Mia cara, ¯dolce
adorabile Bertha… Non lo sapevo che avessi lasciato il numero di questa base ai
tuoi ammiratori¯.”
La supermodella provò una
curiosissima sensazione, del tipo di chi, camminando per la strada, si stesse
accorgendo solo all’ultimo istante di un TIR in rotta di collisione.
“Veramente, non ho lasciato alcun numero a chicch…”
Lui la travolse con un
urlaccio da 1 Kilotone, con dei canini aguzzi sulla bocca spalancata a dismisura.
“E ALLORA ME LO
DICI COME cazzi HA
FATTO UNO STRONZO DI IMPIEGATO DI UN SCHIFOSO ALBERGO AD AVERE IL NOSTRO STRAMALEDETTO NUMERO?!?!”
Ashley si risistemò la capigliatura a
‘presbitero’ che quella sfuriata le aveva fatto venire. “È ancora al telefono?”
“Ovviamente
no, ma voglio che andiate tutti in quell’albergo,” diede nome ed indirizzo.
“Quell’impiegatucolo parlava a nome di un sedicente Re Mangro III di Ana.
Scoprite tutto quello che potete, e in fretta! Forza!”
“Cosa hanno detto?” chiese Re
Mangro, mentre davanti a lui veniva deposta la portata numero 43 da quando era
arrivato al ristorante. Non aveva mai smesso di mangiare dal momento del suo
primo ordine. Era molto educato, modi raffinati…ma sembrava senza fondo. A quel
punto, il Direttore non sapeva se essere felice o terrorizzato dal conto
crescente.
L’uomo, che si era occupato
personalmente di fare la chiamata, fece un inchino deferente al suo ospite.
“Vostra Maestà, la risposta che mi hanno dato non è riferibile ad una persona
che sta mangiando.”
“Capisco, mio fido. Ma sono
sicuro che arriveranno presto: questi barbari sono così prevedibili…”
Invece, il resto del pranzo
proseguì nella calma, seguito da una non meno ricca cena. Lo strano alieno
riuscì a consumare metà della dispensa delle cucine, prima di alzarsi in piedi,
a sera inoltrata…senza avere messo su un etto di pancia. Si pulì delicatamente
le labbra col tovagliolo, e disse, “Tutto molto soddisfacente. Mi raccomando,
per domani gradirei una colazione più…consistente.”
Dalle cucine giunsero suoni
inconfondibili di singhiozzi disperati.
Mangro
si fece aprire la porta del locale da un valletto, oltrepassò la soglia…e si
scontrò contro una specie di silhouette umana nerissima -cioè, non si scontrò,
ma vi finì dentro, come se avesse
appena oltrepassato una porta…
Re Mangro III di Ana terminò
il suo passo in un quartiere periferico di Chicago; il varco che era Doorman si
chiuse con un ‘pop’.
“Ah, una passeggiata. Proprio
quello di cui avevo bisogno.” Studiò sommariamente gli edifici da demolire,
molti dei quali già dei ruderi mezzo crollati. “Anche se devo dire che avrei
preferito un luogo meno…singolare. Voi siete i Vendicatori dei Grandi Laghi,
immagino. Molto gentili a farvi vivi, ma non c’è bisogno che vi mettiate a
fissarmi a quel modo.”
In effetti, il cerchio di eroi
se ne stava lì, immobile, con un’espressione fra l’inebetito e l’allucinato. Si
erano aspettati di tutto, ma non di trovarsi di fronte un esemplare di tale
bellezza. Se quello era il nemico, con quale coraggio avrebbero potuto
mettergli anche solo un dito addosso..?
L’alieno si diede una
riavviata a un ciuffo sulla fronte, poi si avvicinò a Bertha, che era nella sua
forma da combattimento. Le prese una mano che era la madre di tutti i
prosciutti, e vi diede un baciamano da perfetto gentleman. “Big Bertha, sei
stupenda come nessuna altra creatura nel vasto cosmo.”
“Prego..?” fece lei.
Ignorando bellamente gli
altri, Mangro disse, “Mia adorata, ho percorso distanze indicibili per giungere
al tuo cospetto. Ti ho osservata fin dal primo giorno in cui la tua elegante
possanza ha calcato il suolo di questo indegno pianeta. E il mio solo
desiderio, il mio solo ed unico scopo, è di farti mia sposa.”
“COSA?!” fecero gli altri sei
Vendicatori all’unisono, finalmente scossi abbastanza da liberarsi dell’effetto
del carisma di quell’individuo.
Bertha, in compenso, era
ancora ammaliata dura. “Io… Io non so cosa dire, è tutto così improvviso…”
“Ma io so cosa dire!” ringhiò Moonfang, afferrando l’alieno per una
spalla, girandolo…e mollandogli il kazzotto del Natale! Mangro volò contro un
muro come una lattina calciata da un toro e vi si infilò fino a lasciarvi la
sagoma come in un calco di gesso.
“Cerchiamo di non esagerare,”
fece Immortal, avvicinandosi a quello strano visitatore mentre questi si
estraeva dal muro. “Deve ancora dirci quanto sa della nostra base, oltre al
numero di telefono.”
Mangro, del tutto indifferente
alla batosta appena presa, si spolverò sommariamente il suo abbigliamento.
“Barbaro, tsk.” Poi, ad Immortal, “Vi ho detto
che vi tengo d’occhio da anni, no? Cos’è, siete sordi oltre che primitivi?”
Poi, rivolse un sorriso favoloso, accattivante, ai suoi avversari. “E ora, per
favore, allontanatevi, che ho da fmhmphh!” una striscia viola e sottile gli si
avvolse improvvisamente intorno alla testa, nascondendo ogni aspetto del suo
volto.
“Hai detto la tua, e pensiamo
che sia stato anche troppo,” disse Flatman. “Non discutiamo che Ashley sia una
donna stupenda, ma è ancora la nostra
amica, e non te la molliamo di sicuro, cicisbeo spaziale!” Tirò a sé l’alieno,
e lo scaraventò contro un altro muro.
La gente normale vedeva le
stelle, in simili casi. Mangro vedeva tante piccole Bertha, mentre si
massaggiava la testa. “Non capisco. Il mio fascino doveva conquistarvi senza
scampo… Ahia…”
Immortal si toccò la cervice.
“Chip anti-controllo mentale. Di seconda mano, ma efficace.” Si avvicinò di
nuovo all’alieno, lo afferrò per il bavero, e si preparò a mollargli un pugno…
“Aspetta un momento!” fece Big
Bertha, trattenendogli la mano.
“Bertha..?”
Lei scosse la testa. “Non
provare a torcergli un capello. Insomma, cos’ha fatto di male? È solo un ammiratore un po’ troppo impetuoso. Non ha causato
danni, non ha minacciato nessuno.” Tornò alla sua forma da supermodella. “Non
immaginavo di avere un ammiratore così fervente, Vostra, ehm, Maestà…”
Moonfang batté ripetutamente
la punta del piede, le braccia al petto e uno sbuffo minaccioso dalle narici.
“Ma tu guarda la piccola STRONZA. Almeno Giuda si vendeva per denari!”
Re Mangro prese delicatamente
le mani di Ashley fra le proprie guantate di seta. Le scintille brillavano
intorno al suo volto solenne. “Mia adorata, concedimelo, e ti darò un regno
senza pari, e il tuo nome splenderà insieme alle altre stelle del firmamento…”
“BLEAH!” fu la corale osservazione
degli altri Vendicatori.
Ashley arrossi leggermente per
quell’interruzione. Con il volto teso, si voltò, aprì la bocca…no, la spalancò e lanciò un urlo che li stese
tutti come birilli! “MA LA VOLETE SMETTERE DI FARE I CAZZONI?! PER UNA VOLTA TANTO CHE QUALCUNO NON PENSA A ME COME
AD UN OCCASIONE DA SFRUTTARE, NON VI PERMETTERÒ, CACCHIO, DI
ROVINARMELA!” Stava per aggiungere qualcos’altro di molto meno carino, quando
la voce di lui la fece voltare come il cane di Pavlov al suono della
campanella.
“Allora, lo prendo come un
sì?”
Lei annuì vigorosamente. Se
avesse avuto una coda con cui scodinzolare, sarebbe decollata. “Tutto quello
che vuoi,” sospirò come un’eroina dei romanzacci rosa.
“Allora, che sia fatta la tua
volontà!” esclamò Mangro, trionfante, prendendole una mano e sollevando l’altra
al cielo.
“Doorman!” fece Mr. Immortal, capendo al volo quello che sarebbe
successo.
Infatti,
l’istante successivo, le figure del sovrano di Ana e della Vendicatrice
divennero lampi di luce. Allo stesso tempo, Hollis deMeere divenne un portale
vivente nel quale i VGL si gettarono all’unisono…
Nella stanza attigua alla
camera da letto reale, Jeeves stava accuratamente lucidando i mobili, quando
udì il familiare crepitio del sistema di teletrasporto…unito subito dopo ad una
sinistra accozzaglia di rumori di metallo, gemiti, uggiolii ed ossaglie varie.
“Il
padrone ha portato ospiti. Preparerò dei coperti in più.”
“Ouch,” disse Re Mangro, in
fondo al mucchione. “E dire che avrebbe dovuto essere una serata romantica.”
Bertha, adagiata al fianco di
lui, con il sedere corazzato di Thundersword sulle spalle, tamburellava un dito
a terra, gli occhi levati al cielo.
Mr. Immortal si disincagliò
per primo. Si chinò sulla sua compagna e la tirò via puntellandosi sulla faccia
di Mangro. La donna venne via come un tappo di bottiglia.
Prima che lei potesse
obiettare, le diede una scrollata alle spalle. “Scusami tanto, Ash, ma cosa ci trovi in quel bellimbusto da comportarti
così tutto d’un colpo? D’accordo, è un bell’uomo, e allora?! Non sarà il primo
fusto che vedi, insomma!”
“Forse no,” disse Mangro, “Ma
di sicuro sarò l’ultimo della sua lista. Dopo di me, la vostra amica non vorrà
nessun altro…vero cara?” aggiunse con un sorriso degno di Clark Gable in Via col Vento.
Lei si sciolse tutta, e con un
versetto contento gli si affiancò senza esitare.
Mangro si scosse i folti
capelli come fossero la criniera di un leone, e fece un gesto all’indirizzo degli
altri Vendicatori… Ed essi si ritrovarono circondati da impenetrabili campi di
forza!
Mentre loro si dibattevano per
liberarsi, Mangro offrì il braccio a Bertha, e lei si fece condurre docilmente
fuori dalla stanza. Le bolle di forza scomparvero appena la porta si fu chiusa
dietro la coppia.
“Non ti preoccupare per i tuoi
amici, Ashley,” disse Mangro. “Li ho fatti già portare sul tuo mondo. Non
voglio che tu possa restare turbata, se a loro dovesse succedere qualcosa.”
“Uh-uh,” fece lei, pensando a
ben altro che ai suoi ex-compagni. Già si vedeva maritata a questo gran bel
figliolo, con una cerimonia che Lady D roditi il fegato da lassù, e poi… “Wow.”
Spalancò gli occhi quando,
varcata la soglia, si trovò a fissare la più ciclopica tavola imbandita che
potesse immaginare. Dieci metri che esponevano tutto, dagli antipasti al dolce, il parto di una cornucopia molto
feconda! “Chi abbiamo a cena? Un’armata di draghi?”
Lui la fece accomodare su una
delle sole due sedie presenti. Una sedia assurdamente grande, che sarebbe
andata bene alla sua forma da battaglia… “No, cara, questa è la nostra cena.”
Lei si sentì improvvisamente a
disagio. “La ‘nostra’..?”
Lui prese posto sulla sua
sedia, questa sì adatta ad un uomo di dimensioni normali. “Se è troppo poco, ti
chiedo scusa. Le cucine saranno felici di provvedere a soddisfare anche subito
ogni tua richiesta… Ma, ti prego,” aggiunse con un tono ancora più soave, come
se fosse stato un fedele sul punto di vedere dal vivo il proprio dio.
“Abbandona quelle sgradevoli spoglie magre e tristi, e godi la mia offerta di
cibo con il corpo adatto ad apprezzarla.”
“Co…cosa?” Lei si alzò in
piedi in tutta fretta. “Che diavolo vuol dire
tutto questo?! Che ti piaccio come cicciona?!”
lo fissò come se fosse stato un pazzo.
Mangro sospirò, alzandosi a
sua volta. “Naturalmente, bellissima perla carnosa. Non c’è niente su Ana che stimiamo più del peso
abbondante, simbolo di floridezza e benessere.”
Lei non ci capiva una ciccola:
come poteva uno che aveva coltivato un simile aspetto essere attratto dall’obesità??
Accorgendosi finalmente che
Ashley lo stava squadrando da capo a piedi con espressione incuriosita, lui
disse, “Ma certo, perdonami: me ne ero proprio dimenticato.” Ad un comando
mentale, il suo aspetto stupendo si dissolse…
…E nell’elaborato costume
rimase uno spaventoso guscio tutto pelle ed ossa, di un pallore mortale e dai
capelli radi e stopposi. Gli occhi sembravano innaturalmente grandi nelle
orbite, e i muscoli, se c’erano, si nascondevano bene fra le pieghe di pelle
floscia. Dava l’impressione che il soffio di un bambino potesse farlo volare
via come Mary Poppins.
La mascella di Ashley cadde a
terra.
Mangro sospirò, un suono che
sembrò il rantolo di uno zombie -non che la sua voce fosse messa meglio, appena
un sussurro, mentre diceva, “Vedi, qui su Ana un tempo eravamo una civiltà
florida e meravigliosa. I nostri scienziati avevano scoperto un modo di
sintetizzare il cibo dalla materia inorganica, sconfiggendo fame, sete, povertà
e guerre in un colpo solo.
“Purtroppo, un movimento di
fanatici religiosi, decidendo che questo benessere ci stava snaturando,
allontanando dalle giuste sofferenze della vita, dopo avere tentato invano di
convertire la popolazione al suo credo, immise un agente biologico nell’aria. Un
agente che, una volta entrato nel nostro sangue, spinge il nostro metabolismo a
consumare il cibo ingerito molto, molto più in fretta di quanto lo possiamo
mangiare, riducendoci come vedi.
“Sono morti in tanti, prima
che trovassimo una cura temporanea, sotto la forma di un liquido nutritivo e
facilmente assimilabile, un concentrato di calorie che usiamo per integrare il
cibo che siamo costretti a mangiare in continuazione.”
Bertha si accasciò sulla
sedia. Poggiò un gomito su un bracciolo colossale e si mise una mano alla
fronte. “E io cosa sono, dunque, una specie di status symbol? Una moglie-trofeo?”
“Veramente no, mia bellissima…
Ma se ce lo permetterai, studieremo la tua struttura genetica per capire come
puoi acquisire tutta quella massa. Da te verrà la nostra salvezza, e tu sarai l’imperatrice
se lo vorrai, ed io sarò al tuo fianco nell’aspetto con cui mi sono presentato,
ritornato alla mia floridezza naturale. Potrai perdonarmi per il mio piccolo inganno?”
Ashley aveva sinceramente
voglia di prendere Mangro e ridurlo ad un soufflé seduto a furia di saltargli
addosso…ma, in fondo, quel povero disgraziato gli faceva pena. E lei era una Vendicatrice…
“Ad una condizione, amico,”
disse puntandogli un indice al petto e quasi facendolo cadere. “Senza i miei
amici, non se ne fa niente; riportali qui subito… E un’altra cosa: non
allungare neppure una delle tue dita scheletriche su di me, chiaro?”